"oddio mi sento le caviglie in catene"

venerdì 20 febbraio 2015

senza titolo 13

Prendimi per mano e portami a scoprire nuovi spazi.

Sorridi e non scaraventare via lo sguardo, come se i nostri occhi non potessero incontrarsi mai.

Mangia il sole che ci osserva perchè forse ride di me mentre illumina la strada.
Ti prego mangialo senza chiedere di più, senza chiederne il motivo, che non ne servirà uno quando sarà buio intorno. Quando la notte ci coglierà impreparati, ognuno nel suo involucro di paure e parole, e non ci sarà più un motivo valido per nessuna cosa, e non ci chiuderemo più la porta alle spalle, e non andremo più da nessuna parte, perché saremo già ovunque.

E se questo non sarà, allora sarà dolore, e farà male, farà sangue, lacrime, nervi, denti e nero che cola dal naso per non sentirsi morire e affogare.

domenica 15 febbraio 2015

senza titolo 12



Le piaceva guardare dentro le finestre. Era il suo piccolo segreto con il mondo. Non ne aveva di segreti, in generale non le piacevano, preferiva conoscere gli altri e conoscerli bene. Crescendo si era resa conto che non sempre è possibile, incontrando persone nuove con tutta una vita precedente, vissuta in altri luoghi, alcuni, anzi molti, dei quali lei non aveva neppure mai visto. Aveva capito che anche conservare un piccolo segreto come quello che lei si portava dietro ormai da due anni poteva essere la salvezza di una persona.
E nel suo caso era stato la sua. Nei freddi ma assolati pomeriggi d’inverno, o nelle calde sere d’estate, le piaceva aggirarsi nelle piccole vie del suo quartiere e osservare le vite degli altri. Erano sguardi sbrigativi, ai quali sfuggiva quasi la totalità delle cose, o almeno il loro essere d’insieme. Avendo in media pochi secondi per guardare dentro le case aveva sviluppato un interesse speciale per i particolari. Infilava quegli occhialini piccoli, che le stavano poggiati, stretti, sul naso un po’ pronunciato e si lanciava in spedizioni solitarie. Alcune volte quando coglieva un particolare che le sembrasse interessante si fermava e annotava minuziosamente sul suo quaderno cosa aveva visto, dove e in poche parole le sue prime impressioni. Altre volte invece distoglieva lo sguardo e restava solo impressa nella sua mente l’immagine di un oggetto, di una schiena, di un animale o dello schermo della tv. Si era trasferita in quel Paese magico dove le persone non avevano le tende alle finestre. Da dove veniva lei tutto ciò sarebbe stato inconcepibile. Vecchiette che pure senza mettere piede fuori dalle loro case per giorni e giorni si nascondevano dietro le tende logore e osservavano tutto, sapevano tutto, vivendo nell’illusione che un velo le avrebbe schermate dalle dicerie sul loro conto, salvandole da un passato spesso indicibile. Conservavano dentro le loro case dalla puzza di vecchio i loro piccoli stupidi segreti, che non erano segreti per nessuno in realtà. Un esercito di vecchie con le mani nodose a scostare lievemente drappi di vergogna, mentre il mondo fuori continuava a scorrere verso una direzione indipendente da loro. Qui invece nessuno aveva questo senso di pudore. Buona parte della motivazione era data dall’assenza di sole durante i lunghi inverni fatti di giornate cortissime e neve e vento freddo proveniente dalla Russia. Coprire i vetri, dunque, non pareva una buona idea o per lo meno non pareva essere una necessità. E questa particolare condizione le aveva permesso di dare libero sfogo a questa sua piccola attività clandestina, lei che di clandestino non aveva mai fatto niente nella sua vita.
Quella sera uscì in perlustrazione come la settimana precedente, e quella prima ancora, aveva da andare a vedere la casa all’angolo dove pochi giorni prima si era trasferita una famiglia con due bambini. La casa era al piano terra, quindi assolutamente ben visibile dalla strada e senza troppo sforzo. Era anche una casa molto attiva, con grande fermento, forse dovuto al trasloco appena finito o alla presenza dei due pargoli. Le sembrava avessero uno 3, l’altra 6 o forse 7 anni. La settimana precedente aveva notato solo alcune scatole, residui della famiglia precedente e allegria. Voleva registrare, quella sera, se quell’allegria fosse duratura. Pensò mentre usciva di casa che l’assenza di filtri e coperture le avrebbe forse permesso di lì a pochi mesi di cominciare a vivere la sua seconda vita, segreta.

lunedì 2 febbraio 2015

senza titolo 11 - Balena 2 - senza senso 1


Il secondo esercizio (di che? leggete post senza titolo 10 - Balena 1) era una descrizione.
Descrivi te stesso come se fossi una qualsiasi altra cosa (o persona).
Di nuovo, questo è quanto.

Metto piede in quest’aula per la prima volta. Mi guardano tutti e devono essere spaventati. Mettere piede poi è una strana espressione che non mi si addice molto. Io i piedi non ce li ho. Direte voi, come è possibile? Ebbene sì mi hanno fatto così, senza piedi. Sono più un simpatico ammasso nero, tipo una specie di fumo, ma non proprio un fumo di quelli densi che immaginate voi, o che avete visto quella volta che avete bruciato la cena. No, è più una massa informe, ecco, solo il colore è lo stesso del fumo. Ma a voi cosa interessa adesso della mia fisicità. Quello che c’è oltre è ben più importante e fondamentale. Entro in quest’aula, dicevo, e mi trovo davanti questa quindicina di umanoidi, piccoli, loro hanno tutti i piedi, quindi una trentina di piedi, tutti in fila uno vicino all’altro. Ogni anno entro nelle vite di centinaia di questi piccoli sgorbietti. Mi pagano per questo. Devo insegnargli a far uscire la loro creatività. Forse per questo mi guardano preoccupati? O perché sono questa roba senza capo né coda, non ho i piedi ma nemmeno nessuna delle altre parti del corpo che possiedono loro. Non ho la bocca e gli sto parlando. Dico: “Buongiorno”. Spaventati, ecco fatto. Non si riprenderanno mai più. Avranno cinque o sei anni e finora non hanno neanche loro né capo né coda. Io invece non ho età. Pensate che bello, riuscite a crederci? Non muoio e non sono mai nato. Siamo a Settembre e da oggi in poi vedrò questi nanetti crescere e cominciare a vedere il mondo con occhi nuovi. Riusciranno tra qualche mese a descrivere i loro mondi fantastici e sarà solo grazie a me. Questo mestiere mi piace proprio, devo ammetterlo. Certo è una cosa un po’ noiosa a lungo andare, ma in fondo non mi rendo nemmeno conto del tempo che passa e così mi è difficile provare questa sensazione, la noia.
In realtà non provo nessuna sensazione, non riesco, non posso. Non ho cuore, non ho cervello, e forse non ho neanche coraggio, anima, niente.
Le uniche cose che sento sono quelle che provano loro nel momento in cui gli entro dentro.

senza titolo 10 - Balena 1



Primo post, post-corso di scrittura. Ora che sono una Balena a tutti gli effetti (se non sapete cosa intendo chiedete pure), pubblicherò, quando possibile, ma soprattutto quando non fanno troppo schifo i testi scritti e prodotti durante i laboratori.

Il primo esercizio era quello di scrivere un brano con il seguente Incipit:


Marco non era sicuro se questo fosse un buon segno oppure l’inizio di una catastrofe ma di sicuro sapeva [..] 
che qualcosa sarebbe cambiato.
Era stato un segnale chiaro. La porta era aperta, il dado era tratto. Ora non poteva più tornare indietro.
Si buttò nel vagone centrale della metro, senza pensarci troppo. Un bagno di folla gli avrebbe solo fatto bene si disse. Ma non fu così. Contro ogni aspettativa, quella volta la folla lo infastidiva solamente. Aveva sperato di incontrare almeno una situazione strana, di quelle che capitano sempre sulla  linea che collega Est ed Ovest. Ma complice l’orario di uscita dal lavoro, che portava solo gente imbellettata con la valigetta, la giacca e la cravatta ad utilizzare quella linea, o forse complice la bella giornata ed il sole al tramonto delle sei, non trovò nulla che potesse stampargli il solito sorriso in faccia.
Quella mattina era entrato in ufficio come faceva ogni giorno da ormai quattro anni. Non poteva sapere che il Capo lo avrebbe chiamato a rapporto. Doveva essere una giornata come tutte le altre. E invece quella notizia, così a freddo, lo aveva buttato nello sconforto più totale. Cosa avrebbe fatto adesso senza la sua quotidianità, le sue abitudini, non era pronto ad affrontare di nuovo la trafila dei colloqui.
Voleva licenziarsi da molto tempo ormai.
Aveva cominciato con il dirlo alla sua famiglia. Ma i genitori non se ne occupavano più da tempo della sua vita, e tantomeno preoccupavano. Poi lo aveva detto agli amici, quelli di una vita, che però non riuscivano a capire lo stato d’animo di un trentenne con un contratto a tempo indeterminato con tutte le possibilità del mondo davanti e che dovrebbe solo riuscire ad allungare le braccia e a portarle a se. Per loro, che vivevano da sempre in una cittadina dispersa nella nebbiosa pianura padana e lottavano contro l’incertezza del futuro quella era solo la sua ennesima follia.
Infine, lo aveva annunciato agli amici nuovi e anche, timidamente, a qualche collega di lavoro, ma solo quelli con cui si trovava a suo agio, o che era sicuro non ne avrebbero fatto menzione agli altri, meno che mai al Capo.
Eppure trovarsi di fronte al fatto, chiaro, preciso, ineluttabile del proprio licenziamento era una cosa ben diversa.
Arrivato alla sua fermata scese di corsa, senza neanche pensarci trovò l’uscita e si avviò verso casa. Automaticamente percorse quelle stesse quattro strade degli ultimi anni. Entrò in casa, si buttò sul divano, ancora con la giacca indosso, e guardandosi intorno pensò a quanto inutile e banale fosse la sua vita prima di oggi. Certo, di lì a poco non avrebbe avuto più soldi per comperare nemmeno le sigarette. E quella era la parte davvero catastrofica.
Si alzò dal divano, tolse la cena pronta dal freezer, la buttò in padella e in un attimo smise di pensare.