"oddio mi sento le caviglie in catene"

mercoledì 21 ottobre 2015

Senza titolo 29 - Atari Arcade



Paola esce dal locale, sono le 3 di notte. E’ solo giovedì e domani deve lavorare. Come al solito in queste occasioni si chiede per quale motivo i progressi della scienza non abbiano già portato alla scoperta di novità sensazionali come il teletrasporto. E come ogni volta si dice che sarebbe la rivoluzione che porterebbe all’estinzione del genere umano.
Quindi, girando la testa verso l’amica che le sta camminando accanto, dice: -Forse è un bene.-  I suoi occhi non danno segni e solo allora si rende conto di non aver mai detto l’altra metà del discorso se non dentro di sé. In ogni caso, alcool o non alcool, non avrebbe capito lo stesso. Percorrono in silenzio il resto della strada che le separa dal palo dove hanno lasciato le biciclette appese come due impiccati in attesa di esecuzione. Sferragliano le chiavi tra le loro dita tese e insicure. Un passo di lato per riprendere l’equilibrio e si salutano all’incrocio tra il ponte e la strada di ciottoli che costeggia il fiume. Si allontanano come palle sul tavolo da biliardo dopo uno scontro e scivolano via.
Dodici chilometri in bilico sono l’impresa che divide Paola dalla porta di casa. Altre chiavi che sferraglieranno per entrare nella toppa, il letto sfatto dalla notte prima, dormire con il trucco che macchia il cuscino, di nuovo.
Intanto però come in un videogioco della Atari, piccola piccola sulla sua bicicletta sgangherata, si muove meccanicamente sulle strade d’asfalto, evitando buche, pedoni ubriachi che attraversano all’improvviso, vetri di bottiglie e abbaglianti sparati in faccia. Le mani di un uomo agganciate ad un portone, che butta fuori la bocca e urla parole sconnesse contro i passanti.
 
Nel passaggio al centro della città, il vento si insinua tra i palazzi altissimi e soffia forte. Paola quasi cade e guarda in alto verso un’unica luce accesa al decimo piano della sede di un giornale. Intorno non c’è nessun altro a piedi e poche macchine, per lo più taxi, la sorpassano lasciandole impresse negli occhi scie rosse di luce.
La bianca significa ritorno, la rossa che te ne stai andando. 
Ora a dividerla da casa mancano gli ultimi 4 chilometri, ma la strada alternativa per la notte è interrotta, perciò è costretta ad attraversare il parco.
Un’enorme distesa di alberi, cespugli e prati come una macchia verde e gialla e bianca e di tutti i colori, che decide le stagioni, accoglie vite, acqua stagnante e umidità. Il silenzio è irreale, una sirena in lontananza fa spazio al nulla e Paola continua a muoversi come in un’enorme bolla.
Quando alla sua sinistra, in lontananza, vede un movimento, sta fischiettando una canzone che le è rimasta in testa, per farsi coraggio e combattere l’ansia. Le note scivolano stonate dalle sue labbra e si trasformano in piccole nuvole di vapore che le rotolano accanto.
Frena, Paola, frena con tutta la forza che ha nelle braccia magre e ossute. Cerca l’equilibrio con tutta se stessa maledicendo il terzo, il quarto e il quinto bicchiere. L’ultima nota le rientra in gola e il respiro si spegne di colpo. Lei è ferma, in mezzo al vialetto in parte coperto dalle prime foglie d’autunno cadute, e la guarda. Si scrutano, per mezzo minuto che sembra una vita. Il pelo lucido marrone e le striature dorate le ritorneranno in mente solo tra poche ore nel sogno che farà. Gli occhi accesi da una luce che non ha origine; tutto è immobile e le sembra che da un momento all’altro l’animale svanirà nel nulla. Potrebbe farlo, come la protagonista di una storia che in tanti, forse troppi, hanno raccontato. E invece poi si tuffa in un cespuglio lasciandosi alle spalle la scia morbida del predatore silenzioso.
Il cigolio della ruota posteriore segue Paola rivelandola in tutto il suo clamore e coprendo quel momento d’intesa con numerosi strati di altre immagini. La faccia della ragazza al bancone del locale che qualche ora prima totalmente presa dal discorso con un ragazzo seduto al suo fianco, non si accorge dei suoi bellissimi ricci biondi tuffati nel bicchiere. O le luci della macchina che le cade addosso dal nulla, mentre abbandona la madre pulsante e si tuffa senza guardare verso il grande cerchio d’asfalto.
La rossa significa ritorno, la bianca che te ne stai andando.



 Arcade Fire - Headlights look like diamonds

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